“Io amo stare qui”
Ciao a tutti, sono Margherita, Eugenia, Ginevra. Nessuno di questi nomi è il mio, ma ognuno di essi raccoglie una parte della mia persona.
Circa 30 anni fa, nascevo in un ospedale di provincia del Sud Italia. Mi dicono avessi tanti capelli e degli occhi aperti sul mondo e due piccole macchie sul viso… forse qualcosa poteva essere sospettato già da allora, ma i medici tranquillizzarono i miei giovani genitori dicendo che sarebbero scomparse col tempo. Così tornammo a casa, io crescevo e qualcosa cresceva dentro e insieme a me. Iniziai a respirare male, si sospettava un raffreddore, dato l’inverno. Insisti ed insisti, finalmente se ne viene a capo: Emangioma del volto, di quelli un po’ maledetti, di quelli che vanno rimossi, di quelli che ti mettono a rischio vita. Così già a pochi mesi il primo intervento, ricoveri su ricoveri lunghi, lunghissimi. Io e la mia mamma, lontane dai nostri cari, dalla nostra casa. Da allora ho fatto tanti, tantissimi interventi. Qualcuno prova a chiedermi quanti, ma sinceramente non ricordo, forse venti ma davvero non saprei.
Ad oggi con sincerità devo dire di ricordare davvero poco, ma quello che non posso dimenticare è il bello di quegli anni, il personale infermieristico (i miei zii d’adozione), i miei amichetti speciali (alcuni ormai adulti come me, altri purtroppo non più qui), i miei dottori a cui con innocente sfacciataggine insistevo a dare del tu e chiamare per nome, nonostante le mille raccomandazioni della mamma prima di ogni visita.
Ora sono adulta, ma porto ogni giorno con me i segni della mia storia. Il mio aspetto è notevolmente migliorato e posso dire di sentirmi piuttosto soddisfatta di come sono diventata, ma ho avuto periodi bui. Mi sono sentita sbagliata, sfortunata, brutta e di sicuro DIVERSA. Gli altri bambini, ma anche i grandi, mi guardavano quasi fossi un esemplare speciale di chissà quale animale misterioso. Alcuni bimbi si nascondevano, altri ridevano di me e ogni volta io rientravo a casa distrutta ed in lacrime. Lì arrivavano i miei meravigliosi genitori. La mia mamma che mi guardava come fossi una principessa e come tale mi vestiva, il mio papà che mi faceva foto in qualsivoglia situazione perché la vita va ricordata tutta, sempre. Piano piano sono iniziati ad arrivare i primi amichetti, quelli che ti guardavano al di là dell’apparenza, che avevano voglia di conoscerti di parlarti. Tra un pianto ed un sorriso, un rifiuto e una nuova amicizia, sono diventata grande, con una consapevolezza: nonostante la mia storia non proprio semplice, non cambierei un solo attimo della mia vita. Non so spiegarlo, ma credo fermamente mi abbia arricchita e abbia costruito ogni angolo imperfetto della mia personalità.
Non so perché sono qui a scrivervi di me, non ne sono abituata. Ho sempre rifiutato che la mia storia creasse i pretesti per agevolarmi in qualsivoglia modo. Scrivo per rendere omaggio a chi a suo modo ha fatto in modo che io fossi qui oggi a scrivere di me, a chi mi ha tenuta in vita, chi mi ha medicata, chi ha pianto, pregato e sorriso per me. Scrivo anche per quelli che non ci credevano. Scrivo per dare un messaggio a chi sta affrontando tutto questo ora e ha perso le speranze: è dura, ma se ne può uscire! Da figlia dico a tutti i genitori di non mollare: siete il motore dei vostri figli, li avete generati e li farete rinascere una volta ancora! Ai medici e al personale sanitario rivolgo un grande GRAZIE per il meraviglioso lavoro che fanno, per la dedizione, i sacrifici, le notti insonni, le feste mancate. Agli altri chiedo solo un po’ di sensibilità, voglia di apertura e di conoscenza oltre le apparenze.
Vi lascio con uno stralcio del dialogo con cui inizia uno dei miei telefilm preferiti. In una frase raccoglie tutta la mia vita. “Per la maggior parte della gente, l’ospedale è un posto che fa paura, un posto dove accadono cose brutte. La maggior parte della gente preferisce la chiesa, la scuola o la propria casa. Ma io sono cresciuta qui! Imparavo a leggere nei corridoi di chirurgia. L’ospedale era il mio posto sicuro, il mio santuario. Io amo stare qui.” Cit Grey’s Anatomy